La mobilità sostenibile

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sabato 11 dicembre 2010

La Cgil nel Caos ...


Un film già visto che non promette nulla di buono ..... Vi ricordate del 1993 ???

Sul modello contrattuale siamo ormai alle battute finali. Confindustria e Governo stringono i tempi e sanno di avere la disposizione l'occasione (e le condizioni) per imporre il loro punto di vista.
Grazie alla complicità di Cisl e Uil hanno potuto scardinare le ultime e residuali certezze contrattuali disseminando il terreno di accordi confederali separati. Grazie all'inconsistenza della posizione Cgil si sono firmati contratti categoriali (anche con la firma della Cgil) che di fatto hanno fatto dilagare in tutte la categorie il principio che il salario variabile è l'unico salario che conta, che tutto deve essere concesso in nome della produttività e della competitività di impresa, che nulla è certo se contraddice l'interesse di impresa e che quindi su tutto si può derogare.
La recente firma di Fim e Uilm sulle deroghe contrattuali nel settore metalmeccanico è la chiusa del cerchio di questa prima fase dell'offensiva padronale.
Il sistema contrattuale concertativo (quello uscito dagli accordi del 1993)  è stato così massacrato, già ora nulla è come prima, la concertazione non esiste più, a valere è solo l'interesse del mercato e dell'impresa, ma manca il passaggio formale, ossia  la liquidazione di ogni ambiguità, l'esigibilità assoluta, per contratto e per legge della nuova subordinazione del lavoro al capitale secondo le esigenze della globalizzazione, della crisi, della nuova concorrenza internazionale tra i capitali.
  • Il salario deve essere variabile (ossia ti pago solo per quel che fai e se lo fai come dico io, e non per quel che ti serve per vivere)
  • L'occupazione deve essere precaria (ossia lavori solo se mi servi e per il tempo che dico io)
  • La prestazione deve essere flessibile, disponibile a ogni richiesta dell'impresa (ossia decido io i ritmi ed i carichi di lavoro, quando devi lavorare di più e quando di meno. Ossia devi stare sempre a disposizione per ogni cambiamento che io deciderò a seconda del mio interesse)
  • La contrattazione deve sparire a favore di una collaborazione sindacale che sottintende esplicitamente la subordinazione del lavoro e delle sue organizzazioni al punto di vista del mercato e dell'interesse di impresa.
Tutto ovviamente per il bene della nazione che viene fatto coincidere esattamente con l'accumulazione capitalista, col profitto privato, libero di agire secondo il suo interesse e libero da ogni vincolo di solidarietà sociale.
Tutto deve essere finalizzato a questo e tutti devono collaborare a questo obiettivo. Un quadro di relazioni-subordinazioni che ricorda molto da vicino il "Patto per il lavoro" del ventennio fascista.

A questa tendenza l'unica ad opporsi è la Fiom. Per questo la Fiom è sotto attacco, non per un suo supposto estremismo ma semplicemente per il suo essere ed agire da sindacato.
Infatti la Fiom chiede una cosa semplice, che il prezzo della forza lavoro (al pari di tutte le altre merci), le sue condizioni di impiego e di utilizzo siano regolamentati in un quadro contrattuale certo, non derogabile e sopratutto costruito e condiviso con i soggetti proprietari di questo bene (la forza lavoro).
Per padroni e sindacati collaborativi, ormai inebriati da un modello neocorporativo che mette le loro burocrazie al centro del potere (di questo si illudono), la posizione della Fiom è pura eresia.

Ma la Fiom è una categoria della Cgil, e in qualche modo agisce nel quadro dei comportamenti che fino a ieri questa organizzazione aveva assunto. Infatti la Cgil non ha firmato l'accordo separato ed ha tuonato (a parole) contro ogni ipotesi di deroga contrattuale.
Il problema però è che la Cgil non ha una linea, naviga a vista, si limita a fare ciò che succede, dove può firma accordi di ogni tipo, ed è da tempo attanagliata dal disagio (tipico delle burocrazie) di non sentirsi accreditata al tavolo dove si disegna la nuova era neocorporativa, in cui le burocrazie si distribuiscono riconoscimenti e quote di potere.
La Cgil è in difficoltà (anche se le mani le prudono, e molto) ad aprire uno scontro frontale con la Fiom (non riuscirebbe a spiegarlo facilmente) e questo l'ha mandata in tilt. La Cgil ha fretta di rientrare nei ranghi, ma la resistenza della Fiom non gli permette di farlo esplicitamente e velocemente.
Senza una liquidazione della Fiom, la Cgil era ed è oggettivamente in difficoltà, costretta a riconoscere in qualche modo le ragioni della Fiom pur vedendo con fastidio questa sua resistenza all'offensiva padronale.

Il disagio della Cgil si è visto tutto in quella specie di seminario organizzato a Todi il 22 e 23 settembre scorsi. Un seminario inutile nella sua genericità per capire se esiste o meno in Cgil un embrione di proposta, ma esplicito nel dichiarare la sua voglia di rientrare e velocemente nelle grazie di Confindustria.
In realtà la Cgil sperava con questa iniziativa di chiudere la polemica con Confindustria e con Cil e Uil, convinta che tutto si poteva ormai firmare, contratti leggeri per spostare il centro della contrattazione sul livello decentrato, regole salariali da capestro, flessibilità aziendali ecc. ecc senza perdere la faccia con la sua base (l'illusione della Cgil stava tutta nel fatto che si poteva convincere le controparti a non esagerare con le loro richieste di deroghe), ma ecco che Confindustria e Cisl-Uil, pur incassando il dietro front della Cgil rialzano il tiro e firmano l'ennesimo accordo separato sulle deroghe al Ccnl metalmeccanico.
Un modo elegante ed esplicito per dire alla Cgil ... "ben venga il tuo dietro front ma non pensare di porre condizioni e di emendare il quadro contrattuale che già stiamo scrivendo senza di te".

Un segretario generale che di mestiere fa il sindacalista si sarebbe fermato a ragionare, avrebbe compreso che non ci sono margini ed avrebbe chiamato l'organizzazione a rispondere, ma un segretario generale, senza linea, preoccupato solo di rientrare nel gioco senza perdere troppo la faccia si è limitato a dirsi "stupito".
Non si capacità cioè del fatto che il suo rientro in gioco venga considerato ininfluente e non comprende che senza una piattaforma, senza una proposta, senza chiamare i lavoratori a discutere e decidere, senza una lotta non va da nessuna parte, se non quella di bere tutto ciò che ormai gli è stato preparato. Prendere o lasciare.
Il fatto che la Fiom abbia chiesto a tutta la Cgil di preparasi ad una lotta generale e di mettere in campo una propria piattaforma, e che la Cgil abbia rifiutato dicendo che ciò che si sta facendo basta ed avanza, la dice lunga su dove vuole andare questa segreteria confederale.

C'è da credere che alla ripresa del tavolo con Confindustria e Governo la Cgil farà di tutto per tornare ad accreditarsi, magari cercando di firmare qualcosa che non porti a perdere la faccia, che non ne smascheri troppo la sua retromarcia su tutto il fronte, ma non è detto che ci riesca perchè ormai è chiaro .... se l'accordo sulle deroghe firmato da Fim e Uilm la settimana scorsa insegna qualcosa è che a padroni e sindacati collaborativi non servono più soluzioni ambigue e pasticciate (come i 55 contratti che Epifani si vanta di avere già firmato) ... vogliono una esplicita e conclusiva formalizzazione delle nuove relazioni-subordinazioni sindacali.

La Cgil (questa Cgil) firmerà di sicuro, per calcolo politico e non certo per calcolo sindacale. Magari cercherà di farlo diluendo nel tempo l'amaro calice pensando di firmare prima accordi che si possano spacciare come positivi (come ad esempio sugli ammortizzatori sociali) ma l'imbuto è stretto perchè alla questione centrale si arriverà e l'accettazione di questo arretramento cozzerà inevitabilmente con la decisione Fiom di resistere allo smantellamento contrattuale, così come cozzerà con la realtà, fatta di occupazione e salari in costante riduzione e sempre meno tutelati a cui il nuovo modello contrattuale non potrà dare risposte, anzi, ne decreterà l'ulteriore indebolimento.
La firma della Cgil non sarà quindi indolore per lei, ma la burocrazia Cgil ha urgenza di rientrare in gioco sul terreno che padroni e sindacati collaborativi hanno già deciso e messo in pratica.
Alle burocrazie sindacali (quando ragionano da burocrazia) nulla fa più paura del terrore di non essere riconosciute, di non essere validate e accreditate dalla controparte, di essere tagliate fuori da un disegno che sembra prendere corpo anche senza il loro contributo collaborativo. In ciò vedono scemare il loro potere.
Pur di esorcizzare questo rischio si può accettare di subire tutto, anche di fare la parte dell'incompetente (per non dire parolacce) di fronte ai lavoratori che si dichiara di voler rappresentare.

Un film già visto..... vi ricordate del 1993 ???

Come dicevamo succede che spesso le burocrazie sindacali agiscano più per calcolo politico che sindacale. Sono cioè portate a tutelare più se stesse che i soggetti che dovrebbero rappresentare.
Un periodo particolare per osservare questo comportamento è quello che ha portato all'accordo sul modello contrattuale del 1993 che di fatto ha sancito la fine del modello sindacale rivendicativo e l'affermazione del modello concertativo.
Un periodo che potremmo chiamare "della confusione sindacale", dove cioè interesse delle burocrazie sindacali era quello di non rompere con le controparti (per calcolo politico) cercando di subire il meno possibile l'offensiva attivata da queste per fare saltare il modello contrattuale, nella illusione che ciò fosse possibile senza sancire una più pesante subordinazione del lavoro e delle sue organizzazioni all'interesse di capitale.
Come è finita lo sappiamo ma proviamo a ricordarne le tappe per individuare la similitudine con ciò che sta accadendo oggi.

Prima del 1993, il perno attorno a cui poggiava la resistenza salariale era la scala mobile, cioè una tutela automatica delle retribuzioni di fronte all'inflazione. Questa tutela del salario di base liberava la contrattazione nazionale e locale nella lotta sindacale per la tutela ed incremento del salario di professionalità (minimi tabellari) e per la redistribuzione di quote di produttività (premio di produzione).
Questa situazione rendeva difficile una politica di riduzione dei salari e per questo, già dal 1982 Confindustria mette sotto attacco la scala mobile, convinta che facendo saltare il perno, tutta la contrattazione sarebbe collassata.

I Sindacati confederali, accettando di essere responsabilizzati di fronte alla questione della crisi, vanno in pallone. Da un lato respingono gli attacchi alla scala mobile ed alla contrattazione, ma dall'altro, non volendo rompere con padroni e Governo (dei quali in parte condividono le argomentazioni, come ad esempio che la scala mobile sia causa di inflazione) accettano di fare alcuni aggiustamenti che, come si vedrà poi, apriranno di fatto la strada allo smantellamento della contrattazione.
Così è che nel 1982 si arriva al cosìdetto "accordo Scotti". Un accordo confederale che di fatto stabilisce i limiti che la contrattazione nazionale di categoria non deve superare e che nel contempo riduce il recupero salariale dovuto alla scala mobile. Si accetta così di mettere sotto controllo il costo del lavoro (come lo intendono le imprese).
Il sindacato di fatto ha accettato di porre un tetto alla crescita salariale, spiegando che ciò serviva a difendere un modello contrattuale e la scala mobile che altrimenti non avrebbero retto all'offensiva padronale. Di fatto però accettavano l'idea che l'aumento dei salari fosse causa dell'aumento dell'inflazione (e non conseguente).
Il contrasto con la base, nei luoghi di lavoro non fu indolore per le burocrazie sindacali, ma queste accettarono lo scotto convinte (illuse) che con ciò si fosse chiusa la partita. Ma non era così, ed in ciò si rende esplicita l'inconsistenza dell'analisi sindacale di allora.

Infatti nel 1983 e poi nel 1984 viene stabilito per legge che la scala mobile non debba recuperare più di un certo valore dell'inflazione. I sindacati subiscono accettando l'idea che questo blocco fosse necessario ed accettabile perchè temporaneo (doveva valere solo per i due anni in oggetto) e perchè propedeutico agli investimenti che si sarebbero realizzati col risparmio salariale delle imprese.
Di fatto le burocrazie sindacali, colme dell'orgoglio di essersi dimostrate responsabili ed attente ai problemi del paese, dimostrano solo la loro debolezza di linea, tanto che nel 1985 la Confindustria parte all'attacco con la disdetta della scala mobile.
La risposta sindacale è pasticciata. Incapace di comprendere il carattere dell'offensiva padronale, si preoccupa solo di cercare una mediazione che recuperi il rapporto con la controparte e non intacchi il ruolo delle organizzazioni sindacali.
Così si arriva sempre nel 1985 ad un accordo confederale, calato dall'alto, che di fatto riduce il potere di recupero della scala mobile (dal 63% al 50%) e sterilizza la busta paga da diversi automatismi (come gli scatti di anzianità) e rivalutazioni periodiche (come la liquidazione).

Tutta la contrattazione categoriale e aziendale sembra impazzire, da un lato nell'obbligo di recepire i contenuti dei cedimenti confederali, e dall'altro nel tentativo di recuperarne gli effetti (a livello aziendale) con maggiori aumenti salariali. Si apre una profonda spaccatura tra burocrazie sindacali e luoghi di lavoro. Infatti l'organizzazione sindacale non riesce a controllare l'esplosione salariale della contrattazione aziendale, non la sostiene, anzi la ostacola chiedendo il rispetto dei limiti imposti dagli accordi confederali.
Di fatto il sindacato impazzisce. Non esiste una linea sindacale generale (se non quella di contenere le pretese di Confindustria e di tentare interventi di moderazione sulla contrattazione aziendale) ed a livello di base si procede senza tener conto delle indicazioni sindacali.

E' così che nel 1990 Confindustria procede ad una nuova disdetta della scala mobile. Il Governo interviene prorogando la scala mobile solo per un anno per dare tempo alle parti sociali di trovare un accordo, dopo di che la disdetta sarà effettiva.
Finalmente il sindacato sembra reagire. Si proclamano scioperi generali con manifestazioni imponenti. La parola d'ordine dei sindacalisti è "La scala mobile non si tocca".
Nel 1991 però Cisl e Uil rompono il fronte e firmano un accordo separato che di fatto accetta l'abolizione della scala mobile. L'accordo trova poi legittimità in un decreto del Governo Craxi che darà valore di legge a questa scelta.
La Cgil (spaccata al suo interno) organizza un referendum per l'abrogazione della legge ma il referendum non vince. Ma è la linea sindacale della Cgil ad essere debole, stretta tra la necessità di non deludere una base agguerrita (che l'aveva spinta al referendum) e la scelta di non rompere con le controparti. Seguiranno mesi di estrema confusione, con assemblee, direttivi nazionali, carichi di parole d'ordine roboanti, ma senza mai arrivare ad una piattaforma e ad un piano vertenziale su cui mobilitare i lavoratori per recuperare una efficace tutela salariale.
E' così che la questione viene risolta  con un vero golpe interno alla Cgil il 31 Luglio del 1992 con l'accordo Amato-Trentin con cui anche la Cgil accetta la definitiva eliminazione della scala mobile. Lo strappo era stato così palese e forzato che Trentin dovette presentarsi dimissionario (e in lacrime) al direttivo Cgil convocato subito dopo, dimostrando così come la scelta fosse stata più dovuta a valutazioni (e pressioni) politiche che non per ragionamento sindacale.
Nel 1983 si arriva poi a formalizzare con il nuovo accordo sui modelli sindacali (concertativi) ciò che già era stato modificato nei fatti dai cedimenti precedenti. Il salario non doveva più cercare di coincidere con i bisogni salariali che il mondo del lavoro esprimeva ma doveva essere predeterminato e vincolato all'interno di un quadro di compatibilità che il governo e gli obiettivi di produttività delle imprese imponevano.

A guardare le cose da vicino è facile vedere la similitudine con la fase attuale.
L'offensiva padronale è chiara, il cedimento dei sindacati collaborativi pure, ma non altrettanto lo è la risposta Cgil. Come allora la reazione alle forzature confindustriali è debole e non sostenuta da una organica risposta vertenziale. Infatti, mentre a parole si respingono gli attacchi all'impianto contrattuale, in realtà si procede senza una piattaforma, senza un vero coinvolgimento dei lavoratori.
La Cgil è di fatto al palo, presa unicamente dal timore di non rompere i ponti con la controparte ben sapendo che così facendo si legittima il punto di vista della controparte, come è successo in questi anni con la firma anche della Cgil su contratti nazionali di categoria (tutti meno la Fiom) che di fatto, senza dirlo esplicitamente, si sono adeguati nell'accogliere deroghe, flessibilità, dinamiche salariali così come nella sostanza le cercava la controparte padronale.
Così si è legittimato il punto di vista dell'impresa che ora, come ovvio, chiede la chiusura del cerchio anche sul piano formale.

Nei prossimi giorni prenderanno via i tavoli tra sindacati-padroni-governo, sia sulla contrattazione che sullo statuto dei lavoratori. Sindacati collaborativi, padroni e governo hanno già detto e scritto ciò che vogliono.
La Cgil si presenterà a quel tavolo con due parole d'ordine. No alle deroghe e no all'indeblimento della contrattazione.
Parole d'ordine deboli, sia perchè non sostanziate da una piattaforma che spieghi cosa ciò vuole dire in materia di salario, di occupazione, di prestazione, di diritti, ecc. , sia perchè di fatto nella contrattazione precedente, la Cgil delle categorie (tranne la Fiom) ha già determinato una apertura su deroghe e su riduzione di peso del contratto nazionale.

Il 2010 come il 1993 ??? Sembrerebbe ....... Vedrete che Epifani firmerà. Ci spiegherà che così ha salvato la contrattazione ed ha tutelato i lavoratori. In realtà avrà solo salvato la burocrazia Cgil dal terrore di rimanere isolata ed esclusa.
Epifani come Trentin ha deciso che è politicamente necessario che la burocrazia Cgil rientri nei ranghi. Il merito non c'entra. Non c'entra che (anche se pure lui lo dice) il problema vero è che i salari continuano a perdere, che il sindacato nelle fabbriche è sempre più debole, che il peso della funzione di controllo delle burocrazie sindacali aumenta ogni giorno, che la democrazia sta uscendo dai luoghi di lavoro.
Quello che conta è non essere isolati, ridare spazio e ruolo ad una burocrazia che vive nel terrore di rimanere esclusa o messa ai margini.
Epifani sa bene che il rientro nei ranghi della Cgil non potrà avvenire senza strappi, senza perdere la faccia.
Magari, come Trentin, prima firmerà e poi si dimetterà (spiegandoci in lacrime che è stato un passo necessario firmare quell'accordo anche senza avere mai chiesto ed ottenuto un mandato dei lavoratori a firmarlo) o forse no, accettando di caricare su di se tutta la responsabilità, Così facendo libererà il nuovo assetto di segreteria permettendogli di presentarsi più innocente, meno colpevole di fronte ai lavoratori, lasciando la Fiom ancora più isolata, ed assieme a lei tutti i lavoratori.
Poi ... potete scommetterci ... ce lo ritroveremo senatore o deputato. La politica gli deve molto.



2 ottobre 2010                             COORDINAMENTO RSU